25 novembre 2011

Sulla comunicazione umana (Parte II)

Salve crani gremiti di vomito, so che pendete dalle mie labbra in attesa del prosieguo dell’ultimo intervento.
Come ogni sequel che si rispetti c’è però bisogno (anche no) di un breve flashback introduttivo e n
onostante il fatto che leggere “Uno, nessuno e centomila” renda, in alcuni momenti, le mie palle gonfie come il pallone aerostatico di una mongolfiera, devo ammettere che quel pelatone di Pirandello è perfettamente in grado di assolvere a tale funzione, sintetizzando per voi bavosi arrapati un intero intervento in così poche e semplici parole:

“Che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci, non ci siamo intesi affatto.”

E’ sconcertate notare come in tre righe, l’uomo il cui nome fa rima con “pisello”, è stato in grado di rendere palese un concetto che io ho esplicato con la stessa capacità argomentativa di un trepiedi divorato dai tarli…ma queste sono solo sottigliezze, piccoli annusascorreggie a schizzo.
Per una forzata associazione, tutto questo mi ha riportato alla mente quanto sia vile l’animo umano.
Suppongo anche voi vi siate relazionati almeno una volta nella vita con dei “succhiacazzi di Satana” (citazione elitaria)...oh no, non fraintendetemi, questo non è un post contro gli avvocati…

Pensavo più in generale a quella parte della popolazione che per accrescere il proprio ego o per confermare l’altissima quanto mai più immeritata opinione hanno di sé, tendono a conversare con gli altri facendo di una dialettica degenerata il proprio stile argomentativo. Insomma, pur di avere ragione o persuadere gli altri della propria posizione distorcono il significato delle parole, manipolano i concetti espressi o fanno uso di altri mezzucci tale che un sofista d’altri tempi metterebbe, contemplante e remissivo, il proprio culo al servizio di questa persona, ai miei occhi meglio designabile come una pustola purulenta.
Certo, non sempre codesto atteggiamento è messo in atto con tale disonestà, ma questo non cambia di molto la situazione.
Il guaio del malcapitato di turno è che pur avendo oggettivamente ragione, potrebbe uscire sconfitto dalla diatriba, rendendosi conto solo a battaglia finita, da buon coglione, quanta giustezza avessero le proprie argomentazioni…così che quello che resta è solo un irrefrenabile desiderio di chiavarsi a capate nel culo.
La mia sfiducia nelle vostre capacità intellettive e nelle mie esplicative, mi porta a terminare questo post con un’altra citazione riassuntiva…nella speranza che voi, pustole o coglioni, riusciate a cogliere più adeguatamente il senso di questo intervento:

“Non c’è cosa più meschina del non volersi arrendere alla semplice ragione, insistendo lì dove una parola fornisce un appiglio.”

03 novembre 2011

Sulla comunicazione umana (Parte I)


Tra una grattata di chiappe e un'altra, intermezzate da qualche loffetta micidiale, stavo pensando che uno strano senso di solitudine mi accompagna fin dalla più tenera età.
Parallelamente a quando fantasticavo di essere un giocattolino nelle mani di un bambino o un bruco all'interno di una mela e tentavo di autoconvincermi dell'esistenza di dio, tendevo a raffigurarmi l'uomo come un derelitto solitario.
Un piccolo essere enigmatico. Per dirlo con le vostre patetiche parole "un universo a sé" e imperscrutabile, tale da iniziare ad avvertire per conseguenza una certa sfiducia nelle reali capacità comunicative del linguaggio umano.
Con questo non intendo riferirmi solo alla natura risaputamente ambigua delle parole.
Ai miei occhi appare abbastanza chiaro e scontato che nessuno di noi parla la stessa lingua.
Se proferisco la parola “merda” in un dato contesto non potrete mai comprendere totalmente il significato che essa ha, essendo parte del suo contenuto caricato del senso che io stessa gli conferisco a seguito delle mie esperienza di vita…significato che alcun vocabolario sarà in grado di fornirvi. Per cui è fuori da ogni dubbio che la mia “merda” o quella di Guglielmina, Rosalino, Filomena da Trepalle, per quanto similare, sarà diversa dalla “merda” di qualsiasi altra persona. 
Analogamente, quando sentirò proferire la parola “merda” la riempirò del significato mio proprio…tale da falsare, seppur in minima parte, il senso di quello che ho ascoltato.
Se anche volessimo e suppongo lo vorremmo tutti, la comprensione tra di noi, di ogni altrui discorso, non può che essere parziale e perciò (relativamente) superficiale.
Oh teneri cacamerda, non temete, la distanza che intercorre tra voi e il vostro puccissimo principe azzurro o la vostra divinizzata amichetta del cuore, non è poi così profonda come appare da queste parole…ma
chi di voi non si è sentito solo, non capito, almeno una volta nella vita? Bene, ora sapete a cosa imputare la colpa…a parte attribuirla eventualmente a quelle teste di cazzo da cui uno può essere circondato, intendo.
Tale equivocità, ad ogni modo, per me concerne anche i fatti, per cui provo a star lontana tanto dal leccare automaticamente il buco del culo di una persona solo perché ha commesso un’azione apprezzabile, tanto dall'infierire con sputi venefici solo perché ne ha commesso una biasimabile…avendo per me enorme importanza (certo però non decisiva -con le dovute eccezioni-) l’intenzione che sottende l’azione.
Tutto questo discorso mal espresso ne apre automaticamente un altro che, pur smorzando indegnamente tale post, rimando a tempi futuri per non sovraccaricare troppo i vostri neuroni…o semplicemente perché ora ho voglia di farmi un ditalino.